Sunday, March 08, 2015

Il lago d'inverno



Mi immagino il datore di lavoro che compare alla fine su una zattera o su un canotto gonfiabile dopo essere stato invocato in lungo e in largo, remando come un naufrago. D=datore O=operaia
D: Un tempo il mio passatempo preferito era andare al mare. Prendere il sole sulla sabbia accecante. Fino al tramonto.
(Resta sempre fino all'apparizione del raggio verde. Ma poi torna a casa. E' ora di andare a letto, dopo.)
Non si resta in spiaggia dopo una certa ora. Hai capito? 
Non mi pare che mi ascolti.
Io ti intimo di uscire! Ora!
(Lei riemerge piano piano)
O: Sei tu dunque?
D: Sì sono ioSono venuto a salutarvi. Sai com'è. Tira vento.
O:Mi pare che ci eravamo già salutati. 
D: si ma pensavo magari arriva un uragano e io non posso rimanere su questo gommone . voi sapete benissimo mettervi in salvo su acque più calme quindi vi volevo dire ciao
O:Sei un idiota se pensi sta cosa. Non siamo mica pesci. Non siamo mica in mare
D: perché ti ostini a stare qui con quel costume. ti spingerà sul fondo.non puoi essere come le altre?
O:Il giallo è un colore del cazzo. Mi fa pensare ai taxi, ai semafori e alla febbre. 
D:Te la sei fatta addosso un'altra volta eh
O:non ti ho chiamato per farmi fare la predica
D:Guarda che non te la cambio più l'acqua
O:io non voglio uscire dall'acqua io ci voglio restare
D:che ci resti a fare, è tardi
O:i pesci ci restano  sempre 
D:tu non sei un pesce
O: se vuoi andare vai, io resto
D: se cercavi i pesci grossi dovevi andare nell'acqua alta. Il mare  era il tuo posto. Hai sbagliato.
O:adesso mi vuoi pure dire che è colpa mia
D:  i desideri sbagliati si realizzano sempre. visto che non sai stare ai patti ridammi i soldi
O: non  ce l'ho più, li ho mangiati
D:Ho dato 80000 euro alla signorina per stare in vacanza! 
Una cosa sola ti avevo chiesto, una ! Bastava che guardavi l'acqua e potevi fare quello che ti pareva!




Parlava forte e continuava ad urlare. A un certo punto sembrava pure che gli uscisse il fumo dalle narici e che la piscina prendesse fuoco, da laggiù, dal fondale sembrava proprio che prendesse fuoco. Ho pensato subito a come torna abbronzata quella gente che va in vacanza sul mar rosso, e a tutte le occasioni che ho perso di viaggiare lontano da qui. Ma devo aver chiuso gli occhi, perché non ricordo nient'altro.  Solo il rumore di un grande sasso dopo un'eternità e le sue mani, che mi avvolgevano in una coperta.


Tuesday, January 10, 2012

La sosta ci raggiunse poco dopo aver lasciato la montagna alle spalle. Guardavo i miei capi e i miei amici tagliare le fette di pane e condirle col pomodoro mentre mi sciacquavo le mani nel torrente. Avevo agognato così tanto quell’acqua che mi misi in testa di intingerci anche i piedi e la faccia, in una sorta di doccia improvvisata. Quando iniziarono a chiamarmi esitai per un po’, la fame mi era passata e volevo godermi il momento. Mi avvicinai solo dopo, quando il cerchio era già composto e tutti avevano le bocche piene. Sul punto di addentare il primo boccone del panino, mi ricordai del piccolo sasso che era rimasto in un angolo della mia bocca e, senza pensarci due volte, lo sputai nel bel mezzo del cerchio.  Scoppiarono tutti a ridere così in contemporanea a quel mio gesto, che io stentai a rendermene conto.  Non mi era sembrato così sfacciato fino a quel momento. Ezechiele però non rideva e mi lanciò un’altra delle sue occhiate alla velocità della luce, lungo il diametro del cerchio.  Finito il pranzo si ripartiva, e lui attese che la fila si fosse formata per venirmi vicino. Aveva due sassi in mano. Il primo lo riconobbi, non so con quale vista ci fosse riuscito, ma aveva recuperato quello che avevo sputato. Il secondo era grande invece, e me lo mise nello zaino senza dire niente. Ma non era una punizione, piuttosto un’usanza talvolta in vigore tra noi, quella di imparare a conoscere il sacrificio. La strada era ombrosa per buona parte del pomeriggio, così non ebbi bisogno di mettere in bocca il sassolino di nuovo.  In discesa  il fardello non pesò poi troppo sulle mie spalle svogliate.

La fila si arrestò di colpo e si divise in due, come nel Mar Rosso le acque, a un’ora inconsueta del giorno. I ragazzi battevano coi loro bastoni per terra e ridevano nervosamente.
A quell’età, ai miei occhi, i ragazzi facevano sempre  a gara a chi aveva meno paura di tutto.
A qualche metro da me,  forse una decina, in mezzo al corridoio in cui si erano divise le acque, una giovane vipera attraversava la strada. Dico giovane perché era molto piccola, ma non saprei dire se lo fosse veramente o se si sia fissata così nel mio ricordo per la sproporzione tra le sue dimensioni reali e le grida delle mie compagne. 
A quell’età, ai miei occhi, le ragazze non facevano altro che esasperare le proprie dimostrazioni di paura. Paradossalmente, l’indefinitezza dell’adolescenza ha il potere di rendere tutti i ruoli molto più chiari di quello che saranno in futuro. Per distinguerci da tutto quello che c’era prima, ci attaccavamo allo stereotipo

(salvo riuscire a uscire poi dallo stereotipo stesso a cui ci eravamo attaccati con improvvise illuminazioni, penetranti come un veleno, irriflesse, cariche di destino, atti di difesa di  animali braccati).



La vipera ignara continuò il suo percorso alla  velocità abituale e raggiunse gli sterpi a valle del nostro sentiero. Si lasciò dietro un ultimo fruscio. Per noi fu il segnale che potevamo riprendere il cammino.

Monday, January 09, 2012

Avrò avuto 12 o 13 anni. Era il periodo più afoso dell’estate e io ero in campeggio. Nel giorno della grande escursione, salivamo lentamente un pendio in fila indiana. A mezzogiorno, il sole guardava perpendicolare il picco della montagna. La roccia grigia del picco scintillava picchiata dai raggi e ci sorrideva come i cattivi dei cartoni animati. Noi picchiavamo invece coi passi il sentiero sassoso e rigido.  Camminavamo con gli zaini sulle spalle. Il mio pesava così tanto che per dare sollievo ai reni di tanto in tanto, mi buttavo in avanti a strusciare il naso sulle ginocchia. Il sollievo che ne ricavavo era piuttosto fugace, ma a me sembrava indispensabile. A quel tempo affrontavo la noia con passione.
A un certo punto, con lo zaino che mi inarcava la schiena e mi spingeva il naso a rimirare le ginocchia sbucciate, volevo buttarmi a terra e smettere di camminare. Non per sempre, dicevo al mio capo, Ezechiele. Solo per un po’. Lui mi diceva che per i soldati che erano partiti per la campagna di Russia, compiere quel gesto significava  morire. Tentare di riposare significava farlo per sempre, morire per sempre. Io però non mi consolavo e pensavo a tutta la neve che quei soldati avevano a disposizione per bere per sempre, e la morte mi sembrava lontana. In fondo gli chiedevo solo di farmi fermare  per qualche secondo, senza buttarmi per terra.
Volevo rimanere in piedi, dicevo, per guardare con gli occhi quanto spazio ancora ci divideva dalla vetta. Lui si scostava dalla fila e mi rimaneva al fianco e,  come tutti i bravi compagni di cordata, impediva che io mi fermassi. Siccome avevo molta più forza nelle gambe di quanto non credessi, continuavo a camminare sulla scorta delle sue esortazioni. Dopo qualche centinaio di metri però, con la gola in fiamme e poca speranza in corpo, estrassi la borraccia dalla tasca anteriore dello zaino. Ero sul punto di accostarvi le labbra, ma una stretta violenta sull’avambraccio arrestò il mio tentativo.  Sempre lui.  Aveva uno sguardo diverso stavolta. La luce dei suoi occhi in quel momento bruciava di saggezza, filtrata da un paio di occhiali da vista ampi e fuori moda. Bere aumenterà la tua stanchezza, mi diceva. E aprendo il palmo della mano mi porgeva un sassolino bianco dal diametro infinitesimale. Se hai sete, metti questo sotto la lingua e ti passerà.
Continuando a camminare in salita, con gli alberi invisibili all’orizzonte e i denti molto stretti,  credo di aver pensato che la saggezza a volte può essere usata male.  O qualcosa del genere. 
 

Sunday, January 08, 2012

Io ho pensato a quando avevo 12 o 13 anni





Quando ti ho visto, le gambe mezze sotterrate nella sabbia, senza scarpe, tuo marito o i tuoi compagni avevano pensato che gli potevano servire, che la via era lunga, noi eravamo in viaggio già da due giorni e avevamo la macchina, a differenza vostra, il sole che picchiava amabilmente, senza pietà, senza tetto, quando il mio compagno di viaggio si è inginocchiato e ha pianto per te con debolezza, con suscettibilità femminea, quando quel dente da latte che ancora aveva, che mi aveva mostrato quel pomeriggio che gli ballava e non cadeva, che se lo teneva stretto fino alla fine dei giorni, quando quel dente da latte sembrava che tremasse invece che ballare, e il suo volto mai pacificato con il passato, mai pacificato con il suo corpo, con quel seno sempre ancora da venire, quando gli altri risero di lui e inorridirono per te, quando il bambino faceva domande ai genitori sulla vita e sulla morte e loro non avevano il coraggio di rispondere, quando le nostre guide ti coprirono e ti resero grazia senza preghiere di benedizione, quando l’aria calda ti seccava la pelle e tu lo non sapevi perché più non ne soffrivi, quando tutto questo accadeva simultaneamente ai miei occhi,

Saturday, January 22, 2011

Wednesday, January 05, 2011

hope





stamattina svegliarsi nel mio letto era come stare in una foresta pluviale

Tuesday, December 28, 2010

the city of your final destination



bacche selvatiche-talpe-del miele-un caffé
gocce di rum-mosche-un'ape-la tovaglia-un babà
una poltrona vuota-gli scacchi-e un mazzo di cucchiaini scintillanti
ti rechi in un posto per venire da me-
volti le spalle ma non sai dov'è-
bacche selvatiche-talpe-una mosca-un caffé


bright and elegant and free

Bricks by tunng

Thursday, December 23, 2010

heimat 4



potrebbe essere, non so perché. una via familiare tra la germania e il mare.
stranamente caldo e davvero poco prima di natale.
non mi conosci? non  mi conosci ormai?

Monday, November 29, 2010

Maiale, Majakowskij, Malfatto*






*...gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro...